Quanto mai difficile e complessa la presa in carico di alunni con disabilità! Spesso ci si sente impreparati e, letteralmente, non si sa che pesci pigliare.
Talvolta è il contesto scolastico che si rivela fin da subito incapace di rispondere alle diversità in modo efficace e genera barriere anziché introdurre facilitatori. Sono barriere anche le frasi dette ad alta voce come: “È meglio che porti fuori il tuo alunno” oppure “Ma come si fa a pretendere che impari, un alunno così grave?”
Nei giorni scorsi, un’insegnante di sostegno, avvilita per le tante fatiche con il bambino che le è stato affidato, mi dice con un fil di voce: “Ma tanto lui è regredito, l’hanno detto gli specialisti, dunque cosa posso fare?” e l’atteggiamento era decisamente rassegnato a svolgere mansioni di accudimento e assistenza senza occuparsi di educazione e sviluppo.
Ho subito risposto: “Quel bambino è prima di tutto una persona, ha dei diritti e una dignità insita nel suo essere venuto al mondo. Compito di un educatore è individuare tutto ciò che sarà possibile fare con lui, anche se regredisce o si presenta diverso da come l’avevi conosciuto finora. E, se muove soltanto gli occhi, sarà un obiettivo aiutarlo a dirigere lo sguardo verso una fonte, se butta a terra le cose sarà utile aiutarlo a controllare quel gesto anche solo per un secondo che poi diventeranno due, poi tre, e così via.
“Ritenere che un bambino non possa imparare, indipendentemente dalla sua condizione di partenza, significa innanzitutto fargli in grave torto e poi creare una profezia che, senza ombra di dubbio, si avvererà. I nostri alunni hanno bisogno di avere intorno delle persone che credono nelle loro potenzialità, che danno valore a ciò che sanno fare in autonomia, fosse anche soltanto chiudere gli occhi a comando.
“Ogni persona ha diritto di essere attorniata da educatori che hanno fiducia e non smettono mai di porsi obiettivi un po’ più in là di quella che è la sua condizione, è la ‘zona di sviluppo prossimale’ e Vygotskij ce l’ha insegnato molto tempo fa!”
Con questo discorso ho zittito l’insegnante e, a dire il vero, nel vedere i suoi occhi diventare lucidi, ho aggiunto: “Quel bambino ha bisogno di te che credi in lui, abbi fiducia, tu e i tuoi colleghi farete un bel percorso e, alla fine, sarete tutti diversi e non riuscirete a capire chi ha imparato di più da questo incredibile viaggio!”
L’insegnante mi ha chiesto di accompagnarla a rivedere le modalità di osservazione del bambino per poter formulare obiettivi di crescita, di autonomia, di sviluppo più adeguati a lui e di sostenerla nel dar valore alla relazione con i compagni facendo leva sulle insegnanti di classe.
Ho assentito e le ho confermato quanto sia utile e necessario l’atteggiamento di ricerca, di confronto, di condivisione che lei ha portato nel mio studio.
È sulla buona strada per diventare un’insegnante competente, una professionista, e gliel’ho detto.
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